The following obituary by Cecilia Pantu (University of Rome) & Pietro B. Rossi (University of Turin) appeared as ‘In memoriam Servus Gieben, OFM Cap.’ in Bulletin de Philosophie Médiévale 56 (2014), pp. 554-558 and is reprinted here with the kind permission of the authors and Brepols (who retain the copyright).

Il 5 febbraio 2014, presso il convento di Tilburg, è morto Padre Servus a Sint Anthonis (al secolo Harrie Gieben) dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Nato a Saint Anthonis, in Olanda, il 23 settembre 1924, iniziò il noviziato nell’agosto del 1942, dopo aver studiato a Heeswijk al ginnasio dei Premonstratensi. Ordinato sacerdote nel 1949, nello stesso anno fumandato a Roma per perfezionarsi negli studi filosofici presso la Pontificia Università Gregoriana, e nell’Urbe rimase fino al ritorno nella sua provincia di origine nel 2013, a seguito dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Ottenne il dottorato nel 1953, con una tesi dedicata alla metafisica della luce di Roberto Grossatesta (De metaphysica lucis apud Robertum Grosseteste), purtroppo tuttora inedita. Nello stesso anno iniziò la sua collaborazione con l’Istituto Storico dei Cappuccini in Roma, dove è rimasto per tutta la vita, svolgendovi la sua instancabile attività di ricerca; Direttore e, infine, Direttore Emerito del Museo Francescano. Padre Servus ha anche insegnato alla Pontificia Università Antonianum di Roma e al Franciscan Institute della St. Bonaventure University, NY. Il 14 luglio 1989 venne insignito della “Franciscan Institute Medal” (St. Bonaventure University) con la seguente motivazione, che ne riassume ed esalta i meriti (Franciscan Studies 27 [1989], 4-16):

Fr. Servus has been associated with the Capuchin Institute of History in Rome since 1953, first as Resident Fellow and subsequently as its Director and Curator of its renowned Franciscan Museum. In each of these capacities he has labored to maintain the high level of scholarship initiated by his distinguished predecessors, Cuthbert of Brighton and Melchior a Pobladura. A Fellow of the Franciscan Academy of the Netherlands, a member of the Board of Directors of the International Society of Franciscan Studies, and Editor-in chief of the Bibliographia Franciscana, his scholarly accomplishments have earned him an international reputation in the field of Franciscan Studies. His more than sixty articles have appeared in Dutch, German, French, English, and Italian journals. His work on the life and writings of Robert Grosseteste, the first teacher of the Franciscans after their arrival at Oxford in 1224, have won the acclaim of medievalists of both sides of the Atlantic; his pioneering studies on Franciscan art and iconography have aroused interest in a previously neglected area; and his contributions to the history of the lay Franciscan movement have assisted Secular Franciscans in rediscovering the original inspiration of their branch of the Franciscan Family. Surely Father Servus exemplifies the type of friar Grosseteste was describing when, in a letter to Gregory IX, he wrote: “The light of their learning illumines the land

I motivi che portarono a conferire la medaglia a Servus Gieben nel 1989 continuarono a caratterizzare la sua vita di studioso per altri decenni. Egli è stato uno dei più fertili intellettuali dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini. Le sue pubblicazioni ammontano a circa 170 titoli, ai quali si aggiungono numerose recensioni e una mole straordinaria di materiale bibliografico, raccolto in buona parte per la catalogazione della collezione del Museo Francescano di Roma, lavoro che lo ha portato a curarne il primo catalogo insieme al confratello e caro amico Padre Mariano d’Alatri (1920-2007), come lui protagonista della fioritura dell’Istituto Storico dei Cappuccini (vedi Isidoro da Villapadierna, Mariano d’Alatri e Servus Gieben: quarant’anni di servizio nell’Istituto Storico dei Cappuccini, a cura di V. CRISCUOLO, Roma 1993). La sua attività di studioso si estese a differenti ambiti del sapere. Coloro che si occupano della filosofia medievale lo ricordano anzitutto per i suoi studi sul pensiero e sull’opera di Roberto Grossatesta, tuttavia i contributi più numerosi, e che per più tempo lo hanno impegnato, riguardano l’ambito dell’iconografia francescana e delle vite dei santi, temi ai quali P. Gieben si era dedicato soprattutto a partire dagli anni ‘70, proprio con l’avvio del suo servizio presso il Museo Francescano, e anche come conseguenza della necessità di organizzare, accrescere e catalogare l’esposizione delle collezioni. A questo impegnativo compito si dedicò, all’inizio, da autodidatta, riuscendo a divenire in breve tempo uno degli specialisti più autorevoli e rinomati nell’ambito dell’iconografia francescana.

È indubbio che Roberto Grossatesta e la sua fortuna nei secoli sono stati al centro dei suoi interessi filosofici e teologici al pari di quelli rivolti alla storia e alla spiritualità francescane. Con Richard C. DALES ha curato l’edizione dell’Hexaemeron (Auctores Britannici Medii Aevi 6, London 1982), che si può ritenere la più importante opera del vescovo di Lincoln nella quale confluiscono le sue caratteristiche e peculiari dottrine teologiche, filosofiche e ‘fisiche’, in una matura seppur talvolta frammentaria rielaborazione d’insieme. Chiunque s’accosti a questo testo, può toccare con mano quale sia stata l’acribia di Padre Gieben e la ricchezza delle sue conoscenze scritturali e teologiche, sicuramente frutto di una diuturna frequentazione della tradizione dei Padri. Di Grossatesta padre Gieben pubblicò numerosi altri opuscoli, da lui portati alla luce attraverso instancabili indagini fra cataloghi e manoscritti, sempre sorretto da acume filologico e profonda passione per l’oggetto del suo studio.

Avendolo conosciuto ed apprezzato soprattutto per i suoi lavori su Grossatesta, ci fa piacere ricordare una particolare occasione che vide riuniti i maggiori studiosi del vescovo di Lincoln della seconda del ‘900, se si fa eccezione di Daniel A. Callus, OP. Nei giorni 29-30 maggio 1987 si tenne al Warburg Institute il Colloquium Robert Grosseteste, al quale erano presenti Sir Richard W. Southern, Alistair C. Crombie, Servus Gieben, Richard C. Dales, James McEvoy e tutti i giovani che, al di qua e al di là dell’ Atlantico, allora si occupavano di Grossatesta traduttore, commentatore di Aristotele, uomo di scienza, teologo, pastore, ciascuno con le proprie convinzioni, ma pronto ad apprendere, in un’atmosfera di viva cordialità. In quell’occasione Padre Gieben toccò un tema sensibile dal punto di vista della storiografia ecclesiastica anglosassone e che crediamo riveli una caratteristica del suo atteggiamento di studioso. Egli parlò di “Robert Grosseteste and the Evolution of the Franciscan Order”, in Robert Grosseteste: New Perspectives on His Thought and Scholarship, ed. James MCEVOY, Steenbrugge: Sint-Pietersabdij-Turnhout 1995, 215-32. Lo spunto da cui questo contributo è scaturito viene chiarito dallo studioso in una breve introduzione, in cui ricorda un avvenimento, accaduto molti anni prima, che aveva deluso le sue aspettative di giovane ricercatore. Incontrando, infatti, per la prima volta il vescovo John Moorman, studioso di storia ecclesiastica inglese, Servus gli aveva entusiasticamente riferito dei suoi studi su Grossatesta. Il vescovo, però, lungi dall’esprimere ammirazione, lo sorprese dicendogli che Grossatesta, a suo parere, aveva causato l’allontanamento dell’Ordine francescano dal suo originale ideale, poiché, indirizzandolo verso lo studio accademico, lo aveva incoraggiato a tradire lo spirito di San Francesco, come ebbe a scrivere anche nella sua Church Life of England in the Thirteenth Century (1955). Padre Gieben ammette che questa ‘authoritative animadversion’ lo impressionò profondamente, rimanendo latente nel profondo dei suoi pensieri come, egli afferma, “a source of unease which, one day, I would have to face openly” (215). La sua indagine e la sua valutazione del rapporto fra Grossatesta e l’ordine francescano fu quindi una pacata e serena “resa dei conti” nei con nella quale confluiscono le sue caratteristiche e peculiari dottrine teologiche, filosofiche e ‘fisiche’, in una matura seppur talvolta frammentaria rielaborazione d’insieme. Chiunque s’accosti a questo testo, può toccare con mano quale sia stata l’acribia di Padre Gieben e la ricchezza delle sue conoscenze scritturali e teologiche, sicuramente frutto di una diuturna frequentazione della tradizione dei Padri. Di Grossatesta padre Gieben pubblicò numerosi altri opuscoli, da lui portati alla luce attraverso instancabili indagini fra cataloghi e manoscritti, sempre sorretto da acume filologico e profonda passione per l’oggetto del suo studio.

Avendolo conosciuto ed apprezzato soprattutto per i suoi lavori su Grossatesta, ci fa piacere ricordare una particolare occasione che vide riuniti i maggiori studiosi del vescovo di Lincoln della seconda del ‘900, se si fa eccezione di Daniel A. Callus, OP. Nei giorni 29-30 maggio 1987 si tenne al Warburg Institute il Colloquium Robert Grosseteste, al quale erano presenti Sir Richard W. Southern, Alistair C. Crombie, Servus Gieben, Richard C. Dales, James McEvoy e tutti i giovani che, al di qua e al di là dell’ Atlantico, allora si occupavano di Grossatesta traduttore, commentatore di Aristotele, uomo di scienza, teologo, pastore, ciascuno con le proprie convinzioni, ma pronto ad apprendere, in un’atmosfera di viva cordialità. In quell’occasione Padre Gieben toccò un tema sensibile dal punto di vista della storiografia ecclesiastica anglosassone e che crediamo riveli una caratteristica del suo atteggiamento di studioso. Egli parlò di “Robert Grosseteste and the Evolution of the Franciscan Order”, in Robert Grosseteste: New Perspectives on His Thought and Scholarship, ed. James MCEVOY, Steenbrugge: Sint-Pietersabdij-Turnhout 1995, 215-32. Lo spunto da cui questo contributo è scaturito viene chiarito dallo studioso in una breve introduzione, in cui ricorda un avvenimento, accaduto molti anni prima, che aveva deluso le sue aspettative di giovane ricercatore. Incontrando, infatti, per la prima volta il vescovo John Moorman, studioso di storia ecclesiastica inglese, Servus gli aveva entusiasticamente riferito dei suoi studi su Grossatesta. Il vescovo, però, lungi dall’esprimere ammirazione, lo sorprese dicendogli che Grossatesta, a suo parere, aveva causato l’allontanamento dell’Ordine francescano dal suo originale ideale, poiché, indirizzandolo verso lo studio accademico, lo aveva incoraggiato a tradire lo spirito di San Francesco, come ebbe a scrivere anche nella sua Church Life of England in the Thirteenth Century (1955). Padre Gieben ammette che questa ‘authoritative animadversion’ lo impressionò profondamente, rimanendo latente nel profondo dei suoi pensieri come, egli afferma, “a source of unease which, one day, I would have to face openly” (215). La sua indagine e la sua valutazione del rapporto fra Grossatesta e l’ordine francescano fu quindi una pacata e serena “resa dei conti” nei con fronti di un giudizio che, con il profondo rispetto che egli nutriva per le opinioni diverse dalle sue, sentiva di poter discutere solo dopo attenta riflessione e opportuna documentazione.

Gli interessi di Padre Gieben furono rivolti anche ad altri autori medievali (ad esempio Gilberto di Tournai e la pseudo-bonaventuriana Symbolica theologia), fornendo un aiuto prezioso agli studiosi anche con rassegne bibliografiche (anteriori all’era digitale). Fra queste, la prima esaustiva bibliografia sul vescovo di Lincoln, che raccoglie gli studi, le traduzioni e le edizioni che datano dal 1473 al 1969 (Collectanea Franciscana 39 [1969], 362-418), estesa in seguito agli studi pubblicati dal 1970 al 1991 (vedi Robert Grosseteste: New Perspectives, 415-31); quella sull’Olivi (per gli anni 1885-1967: vedi Collectanea Franciscana 38 [1968], 167-95) e su Duns Scoto (per gli anni 1953-1965: vedi “Laurentianum” 6 [1965], 492-522).

In occasione del suo ottantesimo compleanno, confratelli e studiosi offrirono contributi, pubblicati nei due volumi: Verum, pulchrum et bonum. Miscellanea di studi offerti a Servus Gieben in occasione del suo 80° compleanno (a cura di Yoannes TEKLEMARIAM, Roma 2006). Il titolo fu scelto proprio perché fosse quasi un motto che potesse simboleggiare la lunga sua vita (Verum, pulchrum et bonum, Presentazione, 7):

<Il titolo> vuole ricordare i vari aspetti delle sue caratteristiche umane e dei suoi interessi di studioso. Il verum ricorda la sua primitiva e più importante vocazione di studioso di filosofia, coltivata con la laurea in filosofia medievale con una tesi su Roberto Grossatesta ed espressa poi con importanti pubblicazioni e partecipazioni e partecipazioni a convegni, che l’hanno portato alla presidenza a vita dell’associazione degli studiosi del vescovo inglese. Il pulchrum ricorda la svolta verso il mondo dell’arte, senza dimenticare la primitiva vocazione filosofica, espressa nell’impegno della direzione fin dal 1980 del Museo Francescano di Roma, dove pure ha avuto modo di dare alla luce numerose pubblicazioni sull’iconografia e arte francescana. Il bonum potremmo individuarlo come intrinseco al verum e al pulchrum, ma nella vita di Servus Gieben possiamo ritrovarlo nel suo ministero apostolico e soprattutto nell’animo sacerdotale che vivifica la ricerca del verum e del bonum nelle espressioni intellettuali e artistiche e li trasforma e li presenta ai fratelli e a Dio.

Padre Servus, prendendo la parola, sottolineò che il segreto della sua vita era da ricercarsi nel noviziato, per due motivi. Il primo legato al nome, Servus, datogli quando entrò nell’Ordine, da lui inteso come un vero e proprio programma di vita, segnato dallo spirito evangelico di servizio. Così come è stato da lui inteso, questo spirito si è diretto in modo del tutto speciale verso lo studio, un ambito di non facile e non scontata applicazione. Egli ha messo in pratica il suo ministerium costantemente, non solo facendo conoscere la sua profondità speculativa nella semplicità e modestia con la quale avanzava proposte e interpretazioni, ma anche, per chi ha avuto il piacere di conoscerlo, attraverso la sua spontanea e gratuita disponibilità a comunicare le sue conoscenze, attraverso la cura e gentilezza con cui rispondeva ad ogni richiesta con fraterna liberalità e gioia della condivisione, e, non ultimo, attraverso il desiderio di rendere sempre vivo e attuale il suo oggetto di studio. L’altro frutto del suo noviziato fu l’aver accolto il consiglio di uno dei suoi maestri di non leggere con troppa attenzione le opere di “seconda, terza, quarta mano,” ma di leggere sempre le opere di “prima mano,” cioè di tornare alle fonti, alle testimonianze manoscritte. Chiunque guardi il volto sorridente e sereno ritratto in fotografie scattate nella sua avanzata età, è portato a ritenere che sia rimasto fedele alle scelte fatte nella giovinezza, e a coloro che l’hanno conosciuto appare naturale immaginare Servus, colmo d’anni e di saggezza, intonare il Nunc dimittis.

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